Storia di una cascata
La città di Tivoli ha avuto fin dalle origini un rapporto di odio e amore con il suo fiume, tanto da condizionare la vita e il primitivo impianto della città. L'Aniene ha arrecato molti danni agli abitanti della zona compresa tra il bacino di San Giovanni e la Cittadella, si tratta di un piccolo tratto, sempre stato un nodo fondamentale, in quanto vi si addensa una serie di vincoli oro-topografici. Il pendio su cui si distese il nucleo originario della città era in gran parte a quota più bassa di quella del fiume (considerata presso l'attuale Ponte Gregoriano); ma la circostanza del cambiamento di direzione che rallentava la corrente subito a monte della prima cascata designò questo punto come il più adatto a derivare canali per servire l'abitato. Fin dall'età romana furono aperti, prima della sua cascata maggiore, vari "condotti", che scorrendo sotterranei lungo il pendio della città, alimentavano con vari "salti", mole e molini, dopo di che venivano utilizzati per l'irrigazione dei campi, sicché, dopo un lungo ed ampio percorso ritornavano al fiume formando "rapide e cascatelle". Ai condotti romani se ne aggiunsero altri nel Medioevo e nel Rinascimento, tra cui quello che alimenta le fontane di Villa d'Este. Il regime dei condotti era regolato da tre corporazioni: quella dei fabbri per le industrie, quella dei mugnai per le mole e molini e quella degli ortolani per l'irrigazione. Ogni membro delle corporazioni era considerato "proprietario ed Utente" del quantitativo di acqua e di energia idraulica fluente nella sua proprietà, computata secondo le due misure locali: il canale e la fistola. Il canale è: "rappresentato da palmi quattro quadrati in istato di corso naturale di acqua con un foro largo quattro palmi e alto quattro palmi". La fistola corrisponde ad un ottavo di canale. I condotti principali sono cinque: Spada, Casacotta, Forma, Brizio, D'Este (alimentavano all'inizio dell'800 una cinquantina di opifici). Il condotto Brizio, molto probabilmente romano, portava le acque al Tempio di Ercole Vincitore. Deve il suo nome a Giovanni Battista Brizio che lo restaurò nel 1613 e lo utilizzò per l'impianto delle sue fabbriche di carta e di panno. Il suo percorso segue in parte la via di San Valerio biforcandosi all'altezza del Duomo. La prima diramazione serviva le mole e le officine Bonatti; la seconda alimentava la Cartiera Marziale. Poi ricongiungendosi, il condotto prosegue lungo l'attuale via degli Stabilimenti, alimentando gli opifici della zona. Il criterio informatore dello sfruttamento dell'Aniene era quello di attingere le sue acque proprio nei pressi di ponte Gregoriano e attraverso l'incanalamento di ben ventiquattro condotti, utilizzare la diversa quota per la spinta idraulica dei vari macchinari posti all'interno di edifici situati nel quartiere medievale di via del Colle, e nella zona sottostante il rione Castrovetere. È noto che tutta la cintura industriale recente (oggi totalmente obsoleta) erede di quella medievale sorta lungo il costone tra la Cittadella e il Santuario di Ercole, ha avuto origine proprio dalla presenza di questi canali di derivazione. Una cosa però è certa, la situazione non è sempre stata così come la vediamo oggi: la viabilità, l'orografia e il sistema idrografico furono in età antica profondamente differenti. Già nel febbraio del 1305 si ha notizia di una prima alluvione. All'inizio del quindicesimo secolo risale dopo mutamenti essenziali nel corso del fiume, la nascita della nuova cascata, nell'area sottostante all'attuale ponte Gregoriano, fonte di ispirazione di molti paesaggisti (Rossini, Piranesi ecc.) Ma l'Aniene provoca ancora dei danni, rovine e distruzioni nel 1405, nel 1420,1432,1489,1531,1564, nonostante siano stati costruiti degli argini. A questo punto i tiburtini sperano di trovare rimedio al grave problema, costruendo un canale di scarico, la "Stipa" nel 1576, ed appoggiano la decisione del Cardinale Ippolito D'Este di alimentare le fontane della sua villa con un condotto, che attraversava il sottosuolo della città. Purtroppo queste misure si rivelarono insufficienti infatti questi canali aggiuntisi ad altri più piccoli, che "dopo un lungo cammino, dopo aver mosso le mole degli opifici brillano nelle cascatelle", non ce la fanno ad evitare la piena che nel 1589 e 1592 travolge una parte di città. Nel corso del XVIII secolo ci sono di nuovo quattro inondazioni (1740-1753-1757-1779) ma per fortuna causano lievi danni; mentre i primi anni del XIX secolo (1804-1805-1808-1809) riportano alto il pericolo. Nel 1814, 1815 e 1821 l'Aniene torna a lanciare tristi segnali. Questo succedersi continuo di alluvioni aveva scosso il terreno solcato dal corso del fiume, aveva eroso le fondamenta di quella parte della città lambita dalle onde, e la catastrofe più volte prevista, si scagliò su Tivoli la mattina del 16 novembre 1826. La catastrofe dell'Aniene
Nel novembre 1826 si ebbe un inverno particolarmente rigido. Le piogge dirotte concorsero ad ingrossare il fiume a dismisura, trascinando con se tronchi d'albero e animali strappati alle rive. L'Aniene, fiancheggiando l'abitato di Tivoli, lambiva allora i caseggiati di via Maggiore e piegava nell'odierno "ramo deviatore" del Bacino di San Giovanni; all'altezza dell'attuale ponte Gregoriano le acque erano trattenute da una diga alla cui sommità si formava una cascata, che precipitava impetuosamente nella sottostante gola di Villa Gregoriana. L'impeto delle acque, dopo aver travolto alcune casupole della contrada di S. Lucia, provocò il crollo della diga: scomparve la cascata, il livello del fiume si abbassò notevolmente e rimasero a secco le canalizzazioni a pelo d'acqua, che alimentavano e azionavano i meccanismi delle mole del grano e degli opifici. L'aumentata rapidità di scorrimento delle acque causò l'approfondimento del letto del fiume e la conseguente frana di un ampio tratto della sponda destra che travolse la chiesa di S. Lucia e diciassette case con orti e vigne. Il quartiere venne evacuato. Papa Leone XII intervenne: fu progettato di costruire un nuovo possente muraglione a monte della vecchia diga che, opportunamente rinforzata, avrebbe concorso a formare un piccolo bacino artificiale frenando la spinta delle acque. I lavori iniziarono con sollecitudine e si protrassero per due anni con una spesa di 8000 scudi. La deviazione del fiume Aniene
La minaccia non era stata definitivamente allontanata: le acque del fiume in piena premevano paurosamente contro la diga e, precipitando nel baratro della Villa Gregoriana, erodevano continuamente la cavità tufacea nella Grotta di Nettuno, facendo temere il crollo del sovrastante quartiere della Cittadella. Una soluzione audace balenò alla mente di Clemente Folchi (a quei tempi un famoso tecnico): scavare nelle viscere del Monte Catillo un traforo e deviarvi il fiume, facendolo precipitare in una zona dove non avrebbe rappresentato più un pericolo per la città, sia per la consistenza delle rocce, sia per l'assenza delle abitazioni. Il progetto, che appariva eccezionalmente ardito in relazione ai mezzi tecnici dell'epoca, fu autorizzato dal papa Gregorio XVI che affidò la sorveglianza al Card. Agostino Rivarola, la direzione dei lavori a Clemente Folchi, e l'esecuzione a Giacomo Maggi. I lavori iniziarono nel luglio 1832 e in meno di due anni furono aperti nella roccia due cunicoli paralleli di quasi 300 m. Contemporaneamente si procedeva alla costruzione di un solido ponte ad una arcata in corrispondenza della antica chiusa e alla sistemazione della Villa Gregoriana, soprattutto ad opera di mons. Francesco Saverio Massimo. La realizzazione di questo importante lavoro nel quale vennero impegnati operai dalle varie regioni e tiburtini consentì sin dai primi momenti, il ritrovamento di ruderi e vestigia romani. Il 28 aprile 1834 la città è visitata dal pontefice. Gregorio XVI successivamente si reca a visitare i lavori del traforo, trattenendosi a lungo nei diversi cantieri. Nell'ottobre del 1834, a circa 15 mesi dall'avvio dello scavo, viene abbattuto l'ultimo troncone di roccia, e a maggio 1835, una processione attraversa il cunicolo destro. Il 2 e 3 maggio la città è di nuovo visitata dal Pontefice e ancora il 6 ottobre. E il pomeriggio del 7 ottobre: "l'acqua brontolò, spumeggiò, saltò sugli scogli, elevò un urlo e non tacque più". Se fino alla piena del 1826 era il fiume a condizionare la vita della città, ora con le opere di deviazione di Gregorio XVI, il regime delle acque viene ad essere controllato, piegato al volere dell'uomo e della tecnica. Tivoli, per secoli offesa, poteva finalmente sentirsi sicura. Il ponte Lupo o di S. Rocco
Il ponte venne eretto sul baratro dell'antica cascata, era l'unico punto di collegamento tra la città di Tivoli e l'Abruzzo attraverso la via Valeria. Originariamente sembra costruito come ponte-acquedotto sotto gli imperatori Costanzo e Costante. Abbattuto dalle piene fu ricostruito da Turcio Secondo Aproniano come è riportato in una lapide nella facciata della chiesa di S. Giorgio. Più volte abbattuto, fu ricostruito nel Medioevo a scopo difensivo in quanto costituiva il punto cruciale delle fortificazioni tiburtine verso l'Abruzzo e l'arma più potente per l'imposizione al pagamento della gabella del passo. Veniva ancora consolidato nel 1387 stando al testamento di Angelo Amati. Nel 1434 le strutture del ponte erano in legno e Niccolò Fortebraccio assediando Tivoli lo fece abbattere dai suoi soldati. Secondo una testimonianza del pontefice Pio II nel 1460 il nuovo ponte era anch'esso di legno mentre nel 1527 era levatoio e difeso da un cancello di ferro. Nel 1557 poiché una ennesima piena lo aveva divelto e spazzato via, ne fu ricostruito uno in muratura privo di parapetti; crollò di nuovo nel 1597 sotto la furia delle acque dell'Aniene in piena e fu subito fatto ricostruire in muratura, ma nel 1665 crollò ancora. Il comune lo fece ricostruire in legno per mancanza di fondi. Nel 1685, essendo stato abbattuto anche questo ultimo dalla piena di quell'anno, la Magistratura municipale lo fece modificare in pietra. Negli anni 1804-1805 l'Aniene arrecò molti danni alla città, il vescovo di Tivoli e pontefice con il nome di Pio II fece ricostruire in legno il ponte di S. Rocco, in sostituzione di quello in pietra abbattuto dalle acque nella piena del 1809. Ancora il 23 gennaio 1829 si era manifestato uno smottamento sotto uno dei piloni sui quali poggiava il ponte provvisorio e all'alba del 5 aprile successivo l'intera struttura precipitò per l'ennesima volta. In attesa che si realizzasse più a monte il monumentale ponte Gregoriano, nel 1835 in sostituzione di esso si improvvisò una leggerissima passerella pedonale in legno, tanto per consentire al personale dell'impresa costruttrice i movimenti di cantiere.L'Aniene tra presenza e storia. A Tivoli, tutta una serie di caratteri strutturali hanno costituito il supporto su cui si sono formati e trasformati i manufatti industriali. Nell'area tiburtina c'è un ricco patrimonio di preesistenze storiche, in particolare una quantità di manufatti edificati in età romana, che lo scorrere del tempo ha ridotto a rovine ma il cui materiale viene riciclato nella edificazione dei nuovi edifici. L'insieme di questi edifici (cartiere ed opifici) costituisce un sistema organizzato, fra i più interessanti del Lazio; un materiale di grande rilievo nella formazione del paesaggio della media Valle dell'Aniene. Si tratta di manufatti edilizi che pur assumendo per dimensione e connotati figurativi il valore di emergenze "eversive", rispetto ai caratteri del minuto tessuto edilizio della città storica, mantengono tuttavia tracce delle antiche preesistenze. Ciò è evidenziato dalla conformazione generale dell'impianto, o dalla stratificazione dei materiali e tecniche costruttive di diverse epoche, o dalla natura della partitura delle facciate, organizzate ad ordini sovrapposti. Ciò che accomuna queste architetture è la stratificazione delle tecnologie e figurazioni proprie della cultura che nasce dall'esperienza della rivoluzione industriale, sulle preesistenze storiche. Il tutto con regole compositive che non contraddicono la nuova logica d'uso del manufatto, basato sulla efficienza del processo di lavorazione industriale. Trasformazioni urbanistiche, recupero ambientale e il parco dell'Aniene
A Tivoli si consolidano i primi insediamenti industriali del Lazio: ne è ancora testimonianza una notevole presenza di manufatti, seppure in stato di abbandono, posti a ridosso del quartiere medievale. Tivoli è un agglomerato urbano che si snoda lungo il corso del fiume, nel senso che dallo sfruttamento delle sue acque, nasce e si sviluppa la vita, e la stessa loro utilizzazione costituisce il fulcro, il motore delle principali attività. Si passa da un tipo di insediamento di trasformazione dei beni derivanti dall'economia agricola (molini di grano, mole ad olio), ad una espansione indirizzata verso l'industria della carta. Questa attività ha determinato nel paesaggio del territorio tiburtino trasformazioni profonde di cui ancora oggi esistono tracce significative. Bisogna tener conto della fitta rete di canali sotterranei che, attingendo l'acqua nei pressi del ponte Gregoriano, si dirigono verso la parte medievale portando acqua in tutti gli opifici. Il centro storico divenne quartiere operaio-residenziale. Da quando poi, verso gli anni '70, sono state abbandonate le cartiere e gli altri stabilimenti industriali si è avuta, come contraccolpo, anche una certa emigrazione degli abitanti del quartiere medievale. La realizzazione del parco dell'Aniene di cui tanto si parla potrebbe ridare nuova vita alla città. Considerando il settore medievale, una certa parte dei "contenitori" industriali, ex cartiere, che possono vantare caratteristiche di archeologia industriale, potrebbe essere utilizzata a fini culturali, ricreativi, ad esempio come servizi di supporto dello stesso parco. Gli stessi complessi archeologici potrebbero avere una funzione legata non solo alla semplice visita, che rimarrebbe passiva, ma diventare elementi attivi, sede di manifestazioni culturali, rappresentazioni teatrali, musicali e didattiche. In questo modo le famose acque di Tivoli, ma ancora di più il contesto storico-naturale che le contiene e le genera, riuscirebbero a valicare gli stessi confini naturali e ad essere elemento propulsore di un interesse vasto e generale. Così facendo, la città di Tivoli, ispirandosi cioè di nuovo alle ricchezze delle acque dell'Aniene, coniugate con l'ambiente naturale e antropizzato nella stratificazione storica, potrà trovare ancora una volta il giusto rapporto con il suo fiume. |